POMIGLIANO D’ARCO, Napoli – C’è una parola che negli ultimi anni è tornata a risuonare nei convegni, nei comunicati, nei proclami istituzionali: legalità. Ma in territori come l’area vesuviana, dove la memoria collettiva porta ancora le ferite del racket e delle estorsioni, la legalità non è uno slogan. È una scelta quotidiana, un rischio, un atto di resistenza civile. Pomigliano d’Arco lo sa bene, e oggi quella scelta trova una nuova casa: la sede della Fai – Antiracket inaugurata in via Cosimo Miccoli, negli spazi del Giudice di Pace.

Il prefetto di Bari ha scelto un registro diverso, più morale che tecnico: “Chi amministra non deve mai appuntarsi medaglie, abbiamo avuto con il sindaco un rapporto abbastanza proficuo – ha detto il Prefetto Michele di Bari rivolgendosi al primo cittadino – Avevamo un problema di sede ma alla fine abbiamo trovato una soluzione prestigiosa per la Fai – Antiracket – poi parlando di usura ed antiracket continua – Abbiamo azzerato le pratiche dell’ufficio che sono state trattate con dovizia di particolari e professionalità. Stiamo dando credito e atto a chi è dall’altra parte, estorsioni ed usura sono due reati bruttissimi perché il silenzio dei giusti è il grido degli oppressi. Queste persone sono oppresse ed hanno bisogno di un accompagnamento – e conclude – Questo è il lavoro che stiamo facendo. Grazie alla Fai per i risultati che stiamo avendo, stiamo avendo una svolta sia per quanto riguarda la sede, la qualità dei procedimenti e la fiducia che le persone nutrono nei confronti della Fai, della Prefettura e del Ministero dell’Interno”.
È esattamente su questo asse che si è concentrata Wanda Ferro, sottosegretario all’Interno, quando ha ricordato che “chi denuncia non deve essere un eroe isolato, ma parte di una rete solida di accompagnamento”. Le parole della Ferro, in un Paese dove ancora troppi commercianti scelgono il silenzio, suonano come un appello a cambiare paradigma: non servono martiri, ma comunità.

La commissaria Nicolò ha poi aggiunto il tassello umano: “La denuncia è sofferenza, ma anche liberazione. Quando un cittadino decide di denunciare, lo Stato è pronto a intervenire al suo fianco”. È il passaggio più cruciale della giornata, perché sposta il discorso dalla retorica all’impegno concreto. Senza fiducia, senza la certezza di essere protetti e accompagnati, nessuna sede antiracket può davvero funzionare.

Salvatore Cantone, presidente della Fai di Pomigliano, lo sa per esperienza diretta. “La nostra associazione è nata nel 2008 dopo che denunciai un’estorsione. È dedicata a Domenico Noviello, ucciso perché rifiutò di pagare il pizzo”. Da quella ferita è nata una rete che oggi conta centinaia di imprese e cittadini decisi a lavorare nella trasparenza. Con la nuova sede, la Fai promette di rafforzare ascolto e assistenza, ma anche di formare una coscienza collettiva capace di prevenire prima ancora che punire.
Pomigliano non è una città qualsiasi: è uno dei poli industriali più importanti del Mezzogiorno, un laboratorio di trasformazione economica e sociale. Dove c’è industria, c’è anche appetito criminale. Ma dove c’è impresa sana e cittadinanza vigile, c’è la possibilità di sottrarre terreno al racket. È su questo equilibrio che si gioca il futuro.
